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La scrittura è viva? Viva la scrittura!

Benché spesso si dica che – parafrasando una nota frase – scrivere è “sempre meglio che lavorare”, la scrittura non è per nulla un’attività semplice: costa fatica, prende una discreta porzione di tempo e, come ogni altra attività, ha bisogno di un po’ di mestiere se si vuole ottenere un buon risultato.
Nessuno stupore, dunque, se i video negli ultimi anni hanno ottenuto sempre più spazio, entrando nell’uso quotidiano di ogni buon comunicatore e nei pensieri di ogni diligente marketing manager. “Abbiamo qualcosa da dire? Facciamone un video!”. Ormai con bassi investimenti di denaro e di tempo, un’azienda può confezionare un prodotto onesto e gradevolemente standard, pronto da condividere sui social network con poche semplici mosse (la recente “scoperta” di Instagram e il boom delle sue short stories sono lì a dimostrarcelo). Non è un caso se, stando a una ricerca del Content Marketing Institute, oltre il 70% dei marketers d’Oltreoceano ha investito in video per fare azioni di comunicazione.

Quindi, niente più scrittura? Forse ci si deve allarmare? Direi di no: non stiamo assistendo al declino della parola scritta. È molto probabile, a meno di cataclismi oggi non preventivabili, che questa invenzione – così umana – non scomparirà né a breve né nel lungo periodo. Soprattutto se restringiamo il nostro sguardo al b2b, tralasciando ad altri momenti quello della comunicazione rapida e vorace del mondo consumer.
La scrittura non solo gode di buona salute, ma anche di una ritrovata reputazione e aumentata considerazione presso coloro che si occupano di content marketing. Dopo una parentesi – non proprio breve e probabilmente non ancora terminata – in cui la facilità di distribuire e di crearli aveva fatto dimenticare che dei “contenuti senza contenuto” non si reggono in piedi (si vedano molte strategie social), la scrittura ha ripreso un posto centrale.
È indubbio che qualsiasi testo scritto richieda una concentrazione e un livello d’attenzione maggiori rispetto alla fruizione di un video, specialmente se il testo offre una densità di contenuti piuttosto alta. Tuttavia essa:

  • garantisce la libertà di essere consultato più volte, annotato,“ricucinato”, condiviso e selezionato a seconda delle esigenze
  • la sua fruizione è aperta non ha vincoli di tempo, spazio e circostanza (al contrario non sempre è possibile isolarsi – con cuffie – per vedere un video).

Dalle diverse survey che agenzie come la britannica Grist o l’americana DemandGen Report conducono su manager e dirigenti di aziende anglosassoni e non solo, emerge come il contenuto scritto continui a conservare un suo appeal. E questo riguarda sia contenuti propriamente testuali come articoli, post di blog, paper o eBook, sia ibridi come infografiche e post per social network. La fruizione di contenuti scritti risponde all’esigenza di informarsi, documentarsi e approfondire, avere in mano quelle conoscenze utili a prendere decisioni più consapevoli e essere preparati all’incontro con potenziali clienti.

I contenuti brevi sono quelli che funzionano? Non è più così vero…  Negli ultimi anni il numero medio di parole di un post è salito da 800 a più di 1.000. Ma non solo, infatti a) i blog con contenuti più lunghi hanno risultati migliori, b) i motori di ricerca preferiscono i post più lunghi e c) i post al top delle classifiche hanno oltre 2.450 parole. In questo senso sono ugualmente apprezzati white paper, focus e analisi più dettagliate come overview su questioni più ampie e complesse.

I lettori, intanto, sono sempre più selettivi e consapevoli. A chi produce contenuti chiedono qualcosa in cambio alla loro attenzione (l’equazione “tempo è denaro” è sempre valida):

  • più informazioni utili e meno prodotto
  • più dati e numeri a sostegno delle idee espresse
  • più facilità di accesso e reperimento dei contenuti

Brand sì, ma non troppo. L’autorevolezza della fonte e la neutralità di chi scrive sono ovviamente valori premianti quando si tratta di accordare la propria attenzione; i contenuti brandizzati sono apprezzati non solo quando il marchio non deborda, ma quando ciò che viene raccontato ha una validità a prescindere da esso. Da qui si costruiscono la fiducia e l’attaccamento. Da qui la reputazione e un potenziale cliente (associato, sostenitore etc.).

L’ingrediente che il pubblico non vede – ma percepisce – riguarda tempistiche e il loro rispetto. Senza una continuità che abitua il lettore, lo rassicura o lo stimola e, dunque, senza un piano editoriale strutturato il rischio di sprecare i contenuti prodotti è molto alto.

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